Per una didattica relazionale
La scuola oggi, agli occhi di genitori, alunni e insegnanti stessi, non sembra più attrattiva, soddisfacente, “utile”, ha perso il suo “prestigio simbolico” in quanto non appare più emancipativa per la mia vita. Perché si è arrivati a tale situazione?
Il totalitarismo capitalistico (desideri indotti, consumismo, profitto), la nuova dittatura del consumismo indotto porta a credere che si è felici soltanto nel soddisfare i desideri indotti e non nel desiderio di sapere, per cui la felicità e l’emancipazione[1] non risiedono più nella scuola, ma in altri luoghi e fuori dalla cultura, dando vita ad una società che vive per consumare trasformando beni e persone in merce[2].
Di fronte a questo “Homo Consumens”[3] che vive di individualismo gnostico che capovolge il “so di non sapere” Socratico nel “so di sapere anche più della scuola” e del culto del godimento, la vera sfida della scuola è quella di riuscire nell’impresa di orientare il desiderio umano di felicità dai soli beni materiali verso i beni cosiddetti spirituali, tra cui il sapere, la conoscenza, il desiderio di sapere che è un desiderio orientativo e costruttivo della nostra vita e non omologante e uniformante come quelli materiali, indotti, da consumare che risultano avvolte addirittura distruttivi per la nostra vita stessa.
Per riuscire a fare ciò occorre una svolta antropologica, passare cioè da una antropologia individualistica ad una relazionale che sappia recuperare il “so-di-non sapere” Socratico e dunque l’idea che l’uomo si realizza nel mondo insieme agli altri, grazie alla scuola e al sapere desiderato e cercato di cui la scuola è il luogo originale dove si trova il sapere-contenuto e originante che suscita quel desidero di sapere che mi mette alla ricerca del sapere oltre i contenuti datemi dall’insegnante, per fare mie, metabolizzare, rielaborare e soggettivizzare nella forma e nella sostanza i contenuti per diventare nuovi saperi. In questo senso credo che l’analisi storica fatta da Recalcati in L’ora di lezione, sia corretta oltre che suggestiva e forse controcorrente in quanto egli sostiene che l’errore della grande contestazione del’68 è stato quello di voler fare a meno dei padri, però, dice Recalcati, “liberarsi dei padri non significa farne a meno ma imparare a servirsene”[4].
In una didattica relazionale, non bisogna liberarsi dei padri, maestri, contenuti e programmi, ma, alla luce del desiderio di sapere, imparare a servirsene per sapere altro e oltre il sapere dell’altro stesso e crescere in personalità e responsabilità. E’ necessario per rivitalizzare la scuola di oggi, la relazione alunni-insegnanti, un “nuovo umanesimo”[5] che consiste nel continuo aggiornamento del magistero, dell’insegnamento e dei contenuti insegnati che restano ovviamente necessari e insuperabili per esserci insegnamento ma l’insegnante deve saperli attualizzare, tradurre, aggiornare per gli alunni di oggi[6].
Forse occorre oggi una vera e proprio “decrescita educativa”: se è vero che non sono perché consumo merci, non esisto per consumare e consumarmi, la scuola deve assumersi allora il compito di umanizzare l’uomo ovvero educarlo al desiderio del sapere, facendo prendere coscienza che quel sapere desiderato potrà cambierà la mia vita come una vera e propria cultura della liberazione. Ogni alunno che arrivi alla maturità dovrebbe potere affermare ciò, ovvero la scuola ha cambiato il mio esistere. L’alunno dovrebbe prendere coscienza, durante il suo percorso scolastico, che l’uomo vive per l’essenziale e per il prendersi cura dove le cose essenziali del “nostro” mondo sono proprio quelle di cui ci prendiamo cura. Se non ci prendiamo cura di nulla significa che non abbiamo nulla di essenziale per cui vivere e morire nella nostra vita, nel nostro mondo e ci riduciamo tragicamente a enti fra gli enti, merce preda del totalitarismo capitalistico e consumista per cui la felicità sta esclusivamente nei beni materiali senza che nella nostra vita trovino spazio beni spirituali, essenziali, come il sapere relazionale che ci fanno passare da enti a uomini, Heidegger direbbe da enti a “esserci”.
NUCCIO RANDONE, DOCENTE DI RELIGIONE. LICENZA IN TEOLOGIA MORALE
[1] L’oblio dell’Essere (Martin Heideger) ha inaugurato la “crisi dei fondamenti” dando vita ad una società appiattita, schiacciata sugli enti e dagli enti senza alcun spazio per l’essere delle cose, per le cose essenziali o per i beni spirituali.
[2] Cfr. Z. BAUMAN, Consumo, dunque sono, Bari-Roma 20082;
[3] Cfr. ID., Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Trento 2007;
[4] Cfr. M. RECALCATI, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento, Torino 2014, 64;
[5] Cfr. L. CIOTTI – V. ALBERTI, Per un Nuovo Umanesimo. Come ridare un ideale a italiani e europei, Milano 2019;
[6] Cfr. Ibid., 19-20; Cfr. M. RECALCATI, L’ora di lezione, cit.,95-96;
Come studentessa delle scienze umane, mi sono imbattuta più volte nel concetto di “desideri indotti” e sono totalmente d’accordo che nella società di oggi, fondata sul consumismo, non si faccia più caso alle piccole cose o al desiderio di sapere. Crediamo di essere superiori già da giovani ,non ci rendiamo conto che abbiamo vissuto solo una piccola parte della nostra vita e che abbiamo ancora tanto da imparare e da dimostrare; la verità è che non sappiamo più in cosa credere e lottare, questo virus ha tolto a noi giovani: speranze, desideri e voglia di metterci in gioco. A tal punto credo che la scuola debba ritrovare un ruolo fondamentale perso da tempo, dare ai ragazzi ciò in cui credere; rivoluzionare il sistema, aggiornarsi sull’attualità e basare il metodo sulla relazione tra docenti-alunni, non incentrandosi solo nel teorico, ma fornendo un’istruzione che si estrinsechi anche a livello pratico in modo da rendere più piacevole lo studio, incoraggiando l’alunno a fare sempre di più, incrementando il desiderio di conoscenza come unica arma di liberazione. I ragazzi arriveranno al punto di riuscire a prendersi cura dell’essenziale, inteso come ciò che veramente dà un senso all’esistenza e alla nostra essenza che consiste nell’essere per gli altri e con gli altri”.
E’ proprio vero “Non facciamo più caso alle piccole cose”, che poi significa che non facciamo più caso, anzi evitiamo, scartiamo, i piccoli, gli ultimi. Occorrono relazioni solidali e la scuola dovrebbe proprio essere relazionale ovvero scuola di soliderietà, perchè da soli si rimane piccoli!!!
Oggigiorno mi rendo conto di quanto “possedere” valga più di “essere”, di quanto siamo attaccati alla “quantità” piuttosto che alla “qualità”. Da alunna posso confermare che la scuola è vista come un obbligo e un’ imposizione da parte dei genitori, mentro so bene che dovrebbe essere il contrario. La scuola è “sapere” e il “sapere” rende liberi. Sicuramente l’istituzione scolastica pecca in molte cose, ma invece di stare qui a lamentarmi dovrei agire e cercare di migliorare l’ambiente in cui cresco fisicamente, mentalmente e culturalmente, che mi porterà a vivere nella società di cui presto farò parte. Spesso il rapporto con i docenti è visto come una relazione distante e ostile mentre dovrebbe esserci più empatia da parte loro e più rispetto da parte nostra. Ritengo che il professore debba rappresentare un appoggio nei momenti di bisogno, un esempio di cittadino integrato nella società e la fonte del nostro sapere. Sembra banale, ma per noi alunni, adolescenti insicuri e fragili, avere di fronte una figura confortante e autorevole, che ha ben chiara l’idea del suo ruolo, è fondamentale, se non la chiave del nostro benessere all’interno della scuola. Come i docenti dovrebbero interessarsi non solo dei programmi ma anche dei rapporti umani, anche noi alunni dovremmo essere più comprensivi e andare incontro ai nostri professori, considerando il fatto che sono comunque umani e possono mancare in qualcosa. Inoltre dovremmo evitare di avere sempre un giudizio negativo per ogni loro azione, essere meno critici nei loro confronti e convincerci del fatto che senza il loro insegnamento non potremmo acquisire le competenze necessarie per affrontare il futuro.
Non posso non condividere quanto scritto da te ovvero che il sapere e quindi la scuola rende liberi, anzi responsabili, capaci cioè di leggere e interpretare il mondo che ci circonda per non subirlo ma trasformarlo in un mondo più giusto per tutti gli uomini e andando così oltre quella logica, da te sottolineata, dell’avere e dell’apparire per riuscire invece ad essere-persone che vivono con gli altri.
Anche l’idea del prof. come esempio e punto di riferimento per una generazione segnata dalla crisi delle certezze è un’idea che mi sento di condividere. Ogni prof. dovrebbe assumere quella postura relazionale e dialogante nei confronti degli alunni per riuscire a trasformare i contenuti in dei libri di vita scritti insieme. Questo è il senso del mio articolo: la relazione insegnanti-alunni fa crescere entrambi in quanto la didattica relazionale è una didattica orizzontale e non verticale.