Didattica creativa in tempo di pandemia
La pandemia da Covi19 che da più di un anno condiziona le nostre vite ha determinati difficoltà anche nel mondo della scuola. Non ci riferiamo solo alle tanto discusse DAD e DID, ma allo svolgimento di alcune discipline, in particolare delle scienze motorie, che per ragioni comprensibili a tutti, è stata maggiormente vincolata dai protocolli covid.
La prof.ssa Simona Scalia, docente di scienze motorie presso l’Istituto Vittorini Gorgia di Lentini, racconta la sua esperienza di insegnamento sottolineando che:<< già negli ultimi vent’anni il rapporto fra adolescenti e attività sportive e ludiche ha subito dei cambiamenti, ma mai come in questo ultimo anno si è risentito negativamente delle difficoltà e delle limitazioni che la pandemia costringe a subire. La pandemia ha stravolto il modo di vivere delle ragazze e dei ragazzi, anche il modo di interagire nel mondo della scuola>>. Alla domanda su come il prof può operare per alleviare il disagio provocato dalle restrizioni imposte dalla pandemia, la prof. Scalia risponde:<<le limitazioni delle attività pratiche in scienze motorie hanno portato a rivoluzionare il modo di svolgere e partecipare alle lezioni, e allora insieme agli alunni abbiamo cercato spunti di dibattito, discussioni e riflessioni>> Dunque la regola principale è “non lasciarsi sopraffare dagli eventi e reagire”, questo principio conduce a elaborare nuove attività da realizzare in classe e nel rispetto delle norme di contrasto al contagio. <<Quale modo migliore per farlo? – continua la professoressa – Abbiamo scelto di vedere alcuni film-documentari. Attraverso le storie e i loro personaggi abbiamo cominciato a chiacchierare. Molti studenti hanno scoperto di avere tanto in comune: incertezze, insicurezze e tanta voglia di ricominciare a vivere apprezzando la libertà che il virus ha negato>>.
Fare didattica con il cinema è una strategia per andare oltre i limiti della classe e aprire una finestra sul mondo. Il cinema, in questo caso, è stato uno strumento attraverso cui veicolare tra i giovani contenuti stimolanti, educativi, istruttivi e soprattutto coerenti con la funzione stessa della scuola: allargare gli orizzonti.
Entusiasta degli esiti dell’esperienza la prof.ssa Scalia propone di creare uno spazio, anche virtuale dedicato agli studenti, in cui poter condividere opinioni, emozioni, punti di vista. Il nostro Blog Parole PeNsate, accoglie e supporta la proposta.
Infine la prof.ssa Scalia, si rivolge direttamente agli studenti con queste parole:<<Desideriamo dare voce a voi studenti e vi invitiamo a condividere con noi le vostre emozioni attraverso la visione di alcuni film. Di seguito troverete i trailer dei film scelti dai vostri coetanei. I film selezionati fino ad oggi sono: “La partita perfetta”, “Feel the beat”, Let’s dance”, “Coach Carter”, “In due per la vittoria”, “The blind-side”, “Battle”, “Warrior”, “Fuga per la vittoria” e “Soul Surfer>>.
Nella categoria “spettacoli” del blog Saranno pubblicati periodicamente i trailer dei film cui seguiranno le riflessioni degli studenti in forma di commento.
Dunque a voi la parola!
RECENSIONE DEL FILM “FEEL THE BEAT”
Introduzione
Il film “Feel the beat” narra la storia di April, una ballerina di Broadway, che ritrova la sua vera passione per la danza grazie ad un profondo cambiamento. Passando dai grandi teatri alla piccola scuola di danza della sua città d’origine, riesce ad apprezzare i piccoli sogni delle sue nuove allieve e a riscoprire i suoi.
Il film, uscito nel 2020, è considerato una commedia musicale, è stato diretto da Elissa Down e prodotto negli Stati Uniti d’America; la protagonista April Dibrina è interpretata dall’attrice Sofia Carson.
Parere personale
Quando, guardando Netflix, ho visto la data di uscita del film “Feel the beat”, ne sono stata subito colpita e ho quindi deciso di informarmi sul cast e sulle tematiche affrontate: ho scoperto con soddisfazione che si trattava di una commedia romantica incentrata sulla danza e ho atteso il giorno di pubblicazione sulla piattaforma. Non appena ho potuto, ho cercato un momento libero e l’ho guardato con mia sorella. A primo impatto non ne sono stata molto impressionata, ma arrivata a metà della visione ho cambiato completamente idea; ho davvero apprezzato l’interpretazione di Sofia Carson, prima severa nei confronti delle allieve, poi dolce e disponibile.
Il film mi ha colpito principalmente per la determinazione dei personaggi più giovani, che, con molta energia e spontaneità, provavano a dare ogni giorno il meglio di loro per sorprendere l’insegnante, nonostante la sua intolleranza. Un altro aspetto che ritengo fondamentale sottolineare è come, malgrado l’età, i bambini e le bambine riuscissero ad eliminare tutte le differenze tra di loro tramite un linguaggio universale, quello della danza; è proprio nella scena della coreografia finale che la maestra April intende evidenziare questo concetto e mostrarlo al pubblico. La parte della vicenda che più mi ha divertita è stato quello del primo concorso, con l’episodio di vomito sulle scarpe di April e il miracoloso passaggio al secondo turno della competizione; la parte che invece mi ha davvero emozionata è stata quella del ballo finale, per l’armonia dei movimenti delle bambine e April e per il messaggio che intendevano far trapelare dalla loro coreografia. Mi sono identificata sin da subito nel personaggio della giovane insegnante e ballerina, come lei anche io tendo a distaccarmi dalle persone che non conosco, specialmente le più piccole e ingenue, per poi addolcirmi e capire di aver sbagliato. In merito all’interpretazione dei personaggi, ritengo che ogni attore abbia recitato il proprio ruolo con molta abilità e naturalezza; anche la musica, moderna e molto orecchiabile, è stata l’ideale per il film e per il tipo di storia narrata. Sinceramente, nonostante il film mi sia piaciuto moltissimo, sono rimasta un po’ delusa dal finale troppo scontato e fiabesco; consiglierei comunque la sua visione a bambini, ragazzi o intere famiglie.
Agnese Bongiovanni IG
RECENSIONE DEL FILM “FEEL THE BEAT”.
Avevo già visto il film “Feel the beat” ma mi ha così tanto appassionato
che l’ho rivisto…proprio così, adoro questo film, forse perché amo la
danza, forse per il significato e l’insegnamento che mi ha lasciato, non
so, so solo che questo è un film pazzesco, uno dei pochi che mi ha fatto
davvero capire l’importanza della passione e della professione.
April è la protagonista di questo film, quest’ultima vede il suo sogno
infrangersi quando compie una grave scorrettezza a una donna senza
sapere che si tratta di una persona molto influente nel mondo della
danza. Ritornata al suo paesino, April incontra la sua prima insegnante
di danza che le dà l’opportunità di esibirsi davanti alla donna che aveva
spezzato il suo sogno, dandole quindi modo di brillare e far vedere a
tutti quanto vale, però per fare ciò dovrà esibirsi insieme alle alunne
dell’insegnante, molto giovani e ancora non esperte, e arrivare insieme
a loro a competere alla finale di una gara nazionale, cosa che
inizialmente apparve impossibile alla stessa April. Quest’ultima, la
giovane ragazza, inizialmente, non assume comportamenti empatici
con le alunne e per giunta una di esse è la sorella del suo fidanzato.
April, però, in seguito si trasforma in un’ottima insegnate, così che le
sue alunne diventarono una squadra abbastanza forte. Il film “Feel the
beat” non smetterei mai di guardarlo; la determinazione, la sicurezza, la
bravura di April mi hanno davvero sorpresa e mi ha fatto capire che
spesso aiutare gli altri fa crescere, maturare e migliorare se stessi,
proprio come April che per caso si ritrova ad aiutare giovani alunne,
ancora inesperte, e a far realizzare sia il loro che il suo sogno.
Per molti anni anch’io come April ho praticato uno sport che per me
rappresentava, e ancora lo è, una priorità nella vita. Purtroppo il covid,
che da un anno ha coinvolto anche la nostra nazione ci ha portati via i
nostri sogni e quell’ adrenalina, che solo chi pratica uno sport a livello
agonistico può capire cosa sia; mi manca la competizione, mi mancano
le mie amiche di palestra e le mie istruttrici che ormai erano per me una
seconda famiglia e spesso anche un rifugio per pensare meno ai
problemi che a noi adolescenti spesso sembrano immensi e senza
uscita. Con loro avevo la possibilità di confrontarmi a 360° su qualsiasi
cosa, ci supportavamo e ci incoraggiavamo a dare il massimo durante
una gara. Anch’io, come April, spesso ho aiutato le mie istruttrici
durante il corso delle allieve più piccole ed è bellissimo poter
trasmettere il tuo sapere, i tuoi sacrifici a delle piccoline che hanno
voglia di imparare. Sono una ragazzina di soli quattordici anni e penso
che molte delle cose più responsabili, più importanti e più difficili nella
vita si facciano solo quando si diventa “grandi”, e penso che tutti i
ragazzi della mia età incontrano sempre ostacoli così grandi che molte
volte appaiono impossibili da sconfiggere ma che solo dopo tanto lavoro
si superano; penso anche però, che se oggi sono una ragazzina con più
responsabilità, lo devo anche alla ginnastica artistica, che ha favorito,
fin da quando ero piccola, a formare il mio carattere e a farmi acquisire
sempre più sicurezza in me stessa, ed è proprio per questo che con
indosso un body, paracalli, polsini e tanto coraggio divento totalmente
“MARTINA”. Lo Sport è VITA e spero dal profondo del mio cuore che un
giorno si possa tornare a vivere nella normalità, senza più mascherine,
senza paura di poter star male e soprattutto di poter far star male le
persone a noi care. Ho voglia di ballare le mie coreografie e di essere
libera. Dopo aver visto questo film, consiglio a tutti di inseguire il proprio
sogno, di non arrendersi mai, di cadere e rialzarsi più forti di prima,
perché è solo dalla cadute che si impara a fare meglio, e soprattutto di
non farsi mai influenzare dalle scelte o dai pareri degli altri perché una
passione è vita, proprio come April che non ha mai mollato, e non
bisogna mai cercarne un’altra se già trovata ma anzi considerarsi
fortunato di realizzarla. Consiglio anche di vedere il film “Feel the beat”,
perchè, a mio parere, ci fa capire l’importanza di inseguire il proprio
sogno, di non mollare mai davanti alle difficoltà che la vita ci pone ogni
giorno, proprio come April, una ragazza giovanissima ma con una
determinazione enorme.
Martina Favara
IG
Premetto di non aver preferenze tra il film ‘Let’s dance’ e ‘Feel the beat’ dato che ho trovato
interessanti entrambi i film.
Nonostante ciò ho deciso di recensire il film
‘Feel the beat’.
Questo film l’ho trovato davvero molto interesse perché, nonostante le numerose difficoltà,
ti insegna a non arrenderti mai.
Che bisogna raggiungere l’obiettivo che si ha,infatti,come recitato nel film, la protagonista
April aveva l’obiettivo di arrivare a Broadway ma ebbe un’incidente durante un provino con
una persona abbastanza importante e nonostante le mille difficoltà la ragazza decise di
tornare nella sua cittadina.
A causa di questo errore , che venne ripreso e poi ripubblicato, non ebbe più la possibilità di
esibirsi.
Nella sua cittadina vi si trovava una scuola di danza la quale si trovò ad allenare con l’obiettivo di
arrivare alle nazionali per farsi notare da Welly Wong.
Ella si trova a dover allenare un scuola di danza in pessime condizioni, tra ballerine poco
professioniste, far interpretare i giusti passi all’alunna sordomuta e locale che con qualche goccia di
pioggia crollava.
Ella riuscì a far arrivare la squadra di danza a livelli abbastanza professionisti tanto da arrivare alle
nazionali e far sì che April venisse notata dal grande Welly Wong.
Egli infatti notò la protagonista e decise di prenderla nella sua scuola anche se alla fine la ragazza
decise di tornare dalla sua squadra.
Come già anticipato in precedenza questo film mi ha trasmesso molte emozioni e mi ha
insegnato che non bisogna mai arrendersi, anche se non sembra esserci una via di non
arresa, ché si può fare tutto anche se si è sordomuto(es:una ballerina della squadra) e che
anche gli amori lasciati anni prima si ritrovano nel tempo,infatti,nel film possiamo notare che
al suo ritorno nella cittadina si ritrova a rincontrare nuovamente il suo amore lasciato prima di
partire a New York.
Aggiungo anche che l’insegnamento della non arresa nonostante le difficoltà l’ho trovato
anche nel film let’s dance e che ho trovato interessanti entrambi film perché oltre gli
insegnamenti, trovo interessante sia la danza classica e la danza pop.
April (interpretata dall’attrice Sofia Carson) è una ballerina appassionata che cerca l’affermazione
durante un provino a Broadway. A causa di un comico incidente in cui sarà coinvolta una
famosissima coreografa, April sarà costretta a subire le conseguenze dell’accaduto che ormai si è
diffuso in un video sui social.
La giovane protagonista tornerà a malincuore a New Hope, una cittadina del Winsconsin che
ricorda la Stars Hollow di Una mamma per amica. Lì diventerà insegnate danza per un gruppo di
bambine. Per April questa sarà l’occasione per poter rivalutare la sua idea di sogno e di perfezione.
Una madre assente, un padre accogliente ma rigido (Enrico Colantoni), una storia d’amore da
romanzo young-adult finita, un’insegnante sopra le righe (Donna Lynne Champlin), una
competizione di danza per mostrare la propria arte davanti al famoso coreografo Welly Wong (Rex
Lee) per cercare la ribalta.
Se c’è un aspetto che non delude in Feel the Beat è la presenza di molti numeri di danza, cosa non
scontata in un dance movie. Dal provino in stile Chrorus Line iniziale, in cui il film anche per
battute e ritmo sembra avvicinarsi a quello del musical, nel corso dei 109 minuti, sia che siano
eseguite in una scuola di danza che su un palcoscenico, le coreografie rendono Feel the Beat non un
film che parla di danza, bensì un film che mostra la danza, attualizzata, quella che si esegue anche
nei moderni contest televisivi, nei quali la competizione è portata alle stelle. Non manca di certo un
tono ironico e leggero, anche se ciò non salva un prodotto come Feel the Beat. Ballare diventa
possibilità di successo solo nell’esecuzione perfetta dei passi in un provino; oppure diventa
movimento liberatorio da eseguire in solitudine, senza musica, tirando fuori un dolore inespresso da
un’adolescente che ha perso la madre. Muovere il corpo diventa la possibilità di espressione in una
giovanissima ballerina che non ascolta il ritmo della musica ma piuttosto lo sente. Danzare davanti
ad un pubblico in un’importante competizione vuol dire mettersi alla prova e acquisire sicurezza per
chi, quella sicurezza, non l’ha ancora trovata – andando però incontro, senza evitarli minimamente,
a tutti i cliché legati a film dello stesso genere.
Riscoperta di sé ma anche di un senso di comunità perduta. Dalla competitiva metropoli di New
York, la protagonista torna nella piccola città di provincia; lì tutti si conoscono e tutto sembra
rimasto piccolo, umile ma fortemente comunitario. La preparazione della competizione del gruppo
della scuola di danza, portata avanti con non poche difficoltà economiche da Miss Barb, diventa per
New Hope mobilitazione sociale per avere successo e superare le gare nazionali. Fratelli e padri che
aiutano le giovani allieve a eseguire un passo di danza, acconciare i capelli prima delle
competizioni, fare da partner nelle prese, disegnare e preparare i costumi per la competizione. Una
maternizzazione della figura maschile.
In Feel the Beat non mancano di certo scene d’insieme tipiche di un certo tipo di commedia e
soprattutto del musical. Mai forse come in questo periodo, nel film Netflix, uno dei soggetti
protagonisti è proprio la socialità e la riscoperta dell’unione come forza vincente anche se
purtroppo, alla fine, questi elementi si sviluppano in maniera confusa e disomogenea.
Un pregiudizio alquanto diffuso nel mondo della danza è quello che insegnare equivalga in qualche
modo ad un personale fallimento artistico. È esattamente quello che pensa April quando le viene
proposto di guidare il gruppo di bambine. Ed è con un atteggiamento di superiorità e sufficienza che
si rivolgerà alle piccole. Ma nella morale del film per andare avanti bisogna tornare indietro;
immedesimarsi nella paura e nell’incertezza degli inizi, di quando si sogna la danza ma c’è ancora
da provare e riprovare. Costruito attorno al raggiungimento della perfezione, il carattere asciutto e
glaciale di April verrà smontato proprio da quel gruppo di piccole ballerine che la supporteranno
nella sua scelta finale. La riluttanza iniziale di April ad aprirsi all’insegnamento muterà nel tempo
sviluppando un’importante riflessione sulla crescita personale e sulle esperienze.
L’insegnante di danza, per molti giovani, è una figura legata all’impegno e alla disciplina ma anche
una figura protettiva a cui ispirarsi. Feel the Beat condensa stereotipi sul mondo della danza
bilanciando maldestramente messaggi sull’importanza del gruppo e della diversità. Di certo però il
pubblico a cui si rivolge è quello di giovanissimi. Non solo per toni, personaggi e colonna sonora
ma soprattutto per la parabola fiabesca di una giovane donna. Essa può facilmente coinvolgere un
preciso pubblico adolescenziale, limitandosi però a questa cerchia di spettatori per mancanza di idee
originali e coinvolgenti.
Federico Fisicaro 1G
Recensione del film “Feel the beat”
Il film “Feel the beat” parla di una ballerina di nome April, che a causa di un fatto spiacevole che può influenzare in modo negativo la sua carriera, cerca di migliorare le cose facendosi notare da un personaggio famoso del mondo della danza, cioè Welly Wong. Così, April, ritorna nella sua città dove allenerà e proverà a portare alla vittoria delle giovani ballerine che frequentano la sua vecchia scuola di danza, tutto ciò per farsi notare da Welly Wong.
Personalmente devo dire che prima di vedere questo film pensavo che non mi potesse piacere tanto, proprio perché a me non attrae molto questo genere di film, ma dopo averlo visto ho capito che mi sbagliavo. L’ho trovato molto bello e interessante, infatti in alcune scene ho provato delle emozioni come se fossi all’interno della storia. Consiglio di vederlo a tutti e non solo a quelle persone che praticano danza o qualsiasi altro sport, perché credo che possa appassionare molta gente, come ha fatto con me.
Barbara Emmanuele, 1G
FUGA PER LA VITTORIA (film)
Dopo aver visto i film qui citati, esprimendo quindi delle considerazioni e dei pensieri profondi dati dall’importanza del contenuto e del significato che riescono a trasmettere, ho scelto di concentrarmi principalmente commentando questo film che, a mio avviso, coglie a pieno il messaggio che tutti noi dovremmo comprendere fino in fondo. In un campo di concentramento tedesco per prigionieri di guerra, l’ufficiale nazista Von Steiner riconosce nel recluso Colby un famoso giocatore di calcio inglese. Von Steiner è un accanito tifoso e non ha ancora digerito il fatto che la nazionale tedesca non abbia mai sconfitto la squadra britannica. Propone, perciò, un incontro fra una squadra tedesca e una composta dai prigionieri alleati. Quest’ultimi però, pensarono bene di evacuare, scavando delle vere e proprie vie d’uscita organizzate all’interno degli spogliatoi, certi quindi che, durante il secondo tempo sarebbero scappati via, liberandosi definitivamente. Avvolti però dalla voglia, dallo spirito competitivo, annullarono tutti i piani prefissati, e giocarono fino in fondo la partita. Sono veramente tanti i pensieri e le considerazioni che, guardando questo noto film, possiamo riconoscere, riflettendo su concetti e valori molto importanti; quali l’audacia, lo spirito competitivo, l’importanza della libertà e soprattutto la forza di sentirsi vincenti. Siamo nel 1942, Seconda guerra mondiale. Un film complesso e ben organizzato, che abbraccia varie tematiche e vari argomenti, focalizza la sua attenzione sulla passione sportiva, che prevale sulle logiche della guerra. Fuga per la vittoria racconta soprattutto il senso di libertà trasmesso dal calcio. Gli alleati perdono 4-1 contro la nazionale tedesca, compagine rappresentante il potere totalitario per eccellenza. In campo subiscono ripetute aggressioni fisiche mascherate da interventi di gioco che l’arbitro volutamente preferisce non segnalare. Hanno la irripetibile opportunità di fuggire e mettersi in salvo, ma non lo fanno, anzi scelgono di proseguire la partita. Durante i novanta minuti di gioco gli uomini in divisa bianca non avvertono essere prigionieri di guerra. Il loro unico pensiero è, infatti, quello di ribaltare il risultato, non accettando la presunta superiorità sportiva (e razziale) millantata dalla compagine ariana. Riprendono a giocare perché arrendersi nello sport, dinanzi ad un avversario sleale e prepotente, equivale a perdere nella vita. Si può rinunciare alla fuga, non alla libertà. Uno degli attori principali all’interno del film è proprio il conosciutissimo Pelè, pseudonimo di Edson Arantes do Nascimento, è un dirigente sportivo ed ex calciatore brasiliano, di ruolo attaccante. È il Calciatore del Secolo per la FIFA, per il Comitato Olimpico Internazionale e per l’International Federation of Football History & Statistics, nonché Pallone d’oro FIFA del secolo, votato dai precedenti vincitori del Pallone d’oro. Successivamente ha ricevuto, unico calciatore al mondo, il Pallone d’oro FIFA onorario. Ricollegandoci al filo logico del film, possiamo affermare che, lo sport rappresenta per noi ragazzi un momento di svago, ma allo stesso tempo è un momento importante per la nostra crescita. Grazie allo sport possiamo relazionarci con i nostri coetanei, condividere un obiettivo comune, imparare a rispettare le regole, gioire dei successi ed accettare le sconfitte. Praticare uno sport significa sottoporsi ad allenamenti costanti e quindi a sviluppare lo spirito di sacrificio e la fortificazione del carattere di ognuno. Per i ragazzi della mia generazione, è anche lo strumento per creare relazioni, per socializzare e per divertirsi. Infatti, basta un luogo aperto per creare un’opportunità di gioco di squadra: una partita di calcio, di palla a volo, di basket. Spesso, capita di vedere nei parchi come anche ragazzi che non si conoscono tra loro riescono a condividere un momento di gioco ed a divertirsi insieme. Durante il periodo estivo mi capita spesso di fare nuove amicizie attraverso lo sport, infatti quest’estate sono stata invitata a far parte di una squadra di palla a volo fatta da ragazzi e ragazze che non conoscevo. La cosa più bella è stata che pur non conoscendosi si è subito creata una forte intesa, uno spirito di collaborazione, dove ognuno ha contribuito, dando il meglio di se, per raggiungere l’obiettivo comune del divertimento e della vittoria. Io pratico nuoto da quando avevo tre anni. I miei istruttori, ci tengono sempre a dire che il nuoto è uno sport ma anche una disciplina fatta di regole tecniche e di forma; in particolare è molto rigorosa sul comportamento e sull’ordine dei nostri movimenti. In questi anni il nuoto mi ha insegnato molto, sia per lo spirito di sacrificio che nella lotta con me stessa per raggiungere sempre la vittoria. Ho imparato che non ci sono successi senza preparazione e che anche un piccolo contributo può essere fondamentale per la buona riuscita di una gara. Credo che oggi lo sport abbia un ruolo fondamentale per la crescita di ognuno al pari del percorso scolastico. Infatti il mio medico non mi chiede se pratico sport, ma che sport faccio dando per scontato che ognuno ne debba praticare uno, perché lo ritiene fondamentale per una sana crescita. Un altro punto fondamentale, evidenziato all’interno del film è il concetto di competizione. Competizione sana significa condividere la gioia di una vittoria o la frustrazione di una sconfitta, senza abbattersi davanti al fallimento. È un concetto che riguarda il gruppo e, implicitamente, richiede condivisione. Al contrario, la rivalità, tra due soggetti o gruppi, implica un coinvolgimento psicologico diverso ed una generalizzazione della posta in gioco: non più l’obiettivo comune, ma l’accaparramento di risorse, di status. Non significa vincere, ma primeggiare, ed è molto diverso. La competizione chiede confronto e conforto, mentre la rivalità è meramente soggettiva: esiste soltanto nella mente di chi si sente in gara. Una sana competizione presuppone l’identificazione del ruolo della controparte come una delle componenti della partita. Non si gioca contro ma si gioca con l’avversario, perché è anche grazie a lui che, in definitiva, esprimo il mio potenziale. Per concludere, possiamo quindi dire che, lo sport e lo spirito competitivo, a mio avviso, rappresentano la palestra dell’anima. Attraverso la quale ognuno di noi, può mostrare chi è realmente, e può avere anche una forte e pronunciata conferma di quanto si può essere intrepidi, superando anche le proprie capacità e aspettative, nel vincere e sentirsi vittoriosi, credendosi invincibili, audaci, forti e soprattutto inarrestabili. Anche il titolo è pienamente calzante con il messaggio che aspirano a trasmettere, “Fuga Per La Vittoria”, i prigionieri di guerra dovettero scegliere o la fuga o la vittoria, scelsero quest’ultima, perché per loro la vittoria equivaleva alla libertà e quindi alla fuga.
“Nello sport si vince senza uccidere, in guerra si uccide senza vincere.”
Recensione del film “Battle”
Amalia è una ragazza benestante che vive ad Oslo e ha un grande passione per la danza. Ogni mattina si alza presto per fare esercizio fisico e per frequentare intense lezioni di danza moderna in una scuola prestigiosa della città.
La sua insegnante è molto severe, critica, intransigente e non perde occasione per sminuire le ragazze e il modo in cui danzano. Inoltre critica spesso Amalia e ritiene che la sua tecnica sia mediocre e che, quando danza, non trasmette alcuna emoziona e ci metta poca passione. Il ballo non è solo tecnica e la ragazza sembra non esser capace di esprimere al meglio i sentimenti mentre balla.
Un giorno uno degli ex studenti della scuola, che dirige una delle compagnie più importanti di Amsterdam, informa la classe che terrà un’audizione speciale in cui prenderà una sola ballerina per la sua compagnia, un’audizione che cambierà la carriera di una ragazza. Infatti la scuola offre un’ottima preparazione e molti ballerini di famose compagnie di ballo si sono formati lì.
Amalia inizia ad allenarsi più intensamente poiché è decisa a voler passare l’audizione.
Purtroppo il padre va in bancarotta, la casa viene quindi pignorata e verrà messa all’asta. Amalia e il padre sono quindi costretti a trasferirsi in un quartiere di periferia un po’ degradato e soprattutto lontano dagli agi a cui erano abituati. Nella nuova casa Amelia non può esercitarsi quindi inizia ad allenarsi in una sala di un centro giovanile aperta a tutti, dove incontra il ballerino Mikael che la presenta alla sua squadra di ballo e gli trasmetterà il suo amore per l’hip hop. Inoltre Mikael la introdurrà al mondo del battle dance, ovvero una gara di ballo in cui i partecipanti a turno sfoggiano le proprie mosse di hip hop e di danza in generale. Amalia, tra paure, ansie e amori, imparerà a manifestare le proprie emozioni attraverso i passi e a riscoprire se stessa e il suo incredibile talento.
La trama è molto lineare e in alcuni punti un po’ lenta e banale, ma non per questo è un film poco godibile anzi ci sono alcuni punti di riflessione. L’introduzione ai personaggi è ben eseguita e vi sono figure con personalità molto forti, come quella dell’insegnante severa ma anche personaggi più timidi e riservati come la protagonista Amalia. Il personaggio di Amalia è senza dubbio quello che si sviluppa di più nel corso della vicenda. Infatti la protagonista cresce sia emotivamente, che mentalmente e diventa molto espressiva grazie ai movimenti del suo corpo. Inoltre è un personaggio molto tenace, determinato e nonostante la difficile situazione in cui si ritrova riesce comunque a perseguire il suo sogno e a continuare dedicare la sua vita alla danza.
Il film mostra due personaggi diversi come Mikael e Amalia che però sono accomunati dalla stessa passione per la danza. Battle mostra l’intreccio e l’incontro di due stili differenti l’hip hop e la danza moderna. Da un lato osserviamo Amalia e la sua danza più rigorosa ed accademica, che sottolinea la disciplina e la formazione scolastica; dall’altro lato c’è Mikael e l’hip-hop una danza più spontanea e libera. Battle però compie un eccellente lavoro nel dimostrare che questi due stili non sono poi così lontani, e che sono l’uno l’estensione dell’altro. Nonostante i due stili differenti i ragazzi sono animati da una forte passione e forza d’animo.
Ho apprezzato molto l’ambientazione infatti la Norvegia ha bellissimi paesaggi e location affascianti. Le canzoni, le soundtrack e le musiche di sottofondo sono molto belle e piacevoli rendendo il tutto più coinvolgente
In conclusione il film Battle ha un messaggio di fondo commovente ovvero che tutti noi dobbiamo perseguire i nostri sogni, il nostro stile, le nostre passioni senza compromessi anche nelle situazioni più complesse
Sveva Fiorito 3F Liceo Scientifico Elio Vittorini
Il film “Battle” parla di questa ragazza di nome Amalia, una ragazza che conduce uno stile di vita benestante e vive insieme al padre ad Oslo. Amalia frequenta regolarmente delle intense lezioni di danza, con la sua rigida insegnante, che pretende impegno e passione dalle sue allieve. Quest’ultima ritiene che Amalia non abbia realmente la passione per la danza, perché mentre balla non riesce ad esprimere alcuna emozione.
Ad un certo punto la vita della ragazza sarà sconvolta dai problemi economici del padre, e sarà costretta a cambiare abitazione; ma nonostante ciò continua a dedicare la sua vita alla danza.
Un giorno conosce un ballerino di hiphop di nome Mikael, che la aiuterà a superare quel periodo difficile della sua vita e a riscoprire se stessa e le sue passioni.
Una delle varie cose che mi ha colpita di questo film è la tenacia di Amalia, la sua costanza e la sua forza di volontà. Infatti lei anche in seguito ai suoi problemi familiari, l’aver dovuto cambiare tutte le sue normali abitudini, nonostante stesse attraversando un periodo duro, continua ad allenarsi tutti i giorni, non facendosi abbattere e portando avanti la sua passione.
Ha ricoperto un ruolo importante Mikael, colui che l’ha sostenuta in quel periodo difficile e l’ha aiutata a non arrendersi, ma soprattutto le ha permesso di ritrovare la passione. Le difficoltà di Amalia diventano quindi un modo per potersi confrontare con un nuovo ambiente, ovvero l’hiphop.
Ammiro particolarmente la perseveranza di Amalia, perché anch’io un paio di anni fa praticavo danza con costanza e serietà. Frequentavo lezioni di danza tutti i giorni per molte ore, praticando anche diversi stili, dal classico al contemporaneo. Quegli anni in cui mi dedicai completamente alla danza furono davvero intensi, comportavano per me molti sforzi ma ne valeva la pena dato che ballare era ciò che mi faceva sentire libera.
Purtroppo a causa della scuola a un certo punto non sono più riuscita a conciliare studio e danza, per cui ho gettato la spugna, mollando un’attività a cui mi ero dedicata per anni.
Un po’ mi pento di questa scelta, perché mi sarebbe davvero piaciuto coltivare questa mia passione, anche perché da allora non ho più coltivato alcun tipo di interesse.
Probabilmente anch’io avrei avuto bisogno di un Mikael che potesse sostenermi e incoraggiarmi ad andare avanti.
RECENSIONE DEL FILM “SOUL SURFER”.
Ho deciso di vedere e di commentare questo film perché già dalla prima mezz’ora di film visto in classe, la trama ha incominciato a interessarmi particolarmente. Ciò che mi ha fatto più riflettere è il fatto che il film in questione è tratto da una storia vera, realmente accaduta, vissuta da una vera Bethany che alla giovanissima età di 13 anni riesce a sopravvivere quasi per miracolo all’attacco di uno squalo tigre, mentre nuotava con altri suoi amici surfisti. Questa ragazza, nonostante un simile accaduto, ha trovato la forza di accettare la perdita di un arto, che ha addirittura raccontato come un evento che le ha aperto gli occhi ad un mondo che andava oltre il surf, ma soprattutto ha deciso di continuare a praticare la sua passione per il surf, partecipando comunque a gare e competizioni a livelli internazionali. Questa ragazza è un puro esempio di coraggio, determinazione e forza di volontà, e la sua storia mi ha fatto riflettere ed emozionare molto. Devo ammettere che invidio molto la sua forza di volontà, perché pochissime persone sarebbero tornate a surfare dopo un incidente così grave, ma lei ha trovato comunque la forza di non farsi abbattere e di trovare sempre il lato positivo, anche nelle situazioni in cui la speranza sparisce del tutto. Un bellissimo film, che nella sua drammaticità, rappresenta un esempio di coraggio e di determinazione, da cui noi tutti dovremmo prendere spunto.
“La partita perfetta” è un film è basato sulla storia vera della squadra Monterrey Industrial Little League. Nel 1957 un eterogeneo gruppo di bambini poveri di Monterrey, Messico, sciocca il mondo del baseball partecipando al campionato Little League World Series. I bambini – guidati dal loro parroco e da un ex giocatore in bassa fortuna affrontano un lungo viaggio attraversando il Sud degli Stati Uniti fino a Williamsport, Pennsylvania, per giocare un’importante partita. Il loro tragitto sarà contrassegnato da mille difficoltà: ad un certo punto rischiano di essere deportati e, soprattutto, devono affrontare i pregiudizi razziali che non consentono loro di mangiare in molti ristoranti, né di usare qualunque autobus. I ragazzi non perdono mai la loro fede, conquistando così sia il cuore dei tifosi messicani che quello del pubblico americano. La partita perfetta, pur raccontando una vicenda realmente accaduta, è un film che si prende alcune libertà rispetto alla vera storia: la squadra si chiamava “Monterrey Industrials” perché al tempo la città era ricca di industrie siderurgiche, di certo non una baraccopoli come viene dipinta nel film; alcuni personaggi chiave che vengono descritti come dei dropouts erano ancora inseriti nel giro del baseball, e così via. Il film è evidentemente più interessato a proporre una solida storia di riscatto morale che ad essere realistico a tutti i costi (viene in mente la famosa battuta di L’uomo che uccise Liberty Valance: «Quando la leggenda diventa realtà, si stampa la leggenda»), ma comunque il suo nucleo rimane, forte e intatto, anche a dispetto dei clichés e dei numerosi inserti para religiosi su Dio, fede e miracoli (alcuni di questi anche abbastanza “pesanti”). Questo film può essere considerato come una di quelle favole che a volte diventano realtà e viene puntualmente proposto per ribadire i vecchi concetti di perseveranza, audacia e capacità.
Penso che questo sia un bel film per ragazzi che può essere d’insegnamento anche per gli adulti, permettendo una visione coinvolgente e discretamente confezionata.
Recensione film “Feel The Beat”.
Il film mi è piaciuto tantissimo, all’inizio è stato veramente divertente quando la signora che poi avrebbe dovuto giudicare April, doveva prendere il taxi come lei e dopo “Sguardi Vari” si è fiondata fino all’auto per aprire lo sportello ed April si è seduta ed è partita. Li mi sono ammazzata dalle risate, è stato bellissimo.
Poi un’altra parte divertente è stata quando l’insegnante aveva portato il caffè miscelato alla cioccolata per tenere sveglie le ragazze e gli antistaminici, per farle “riposare” dopo aver ballato.
Non mi aspettavo l’utilizzo di Tik Tok quando le ragazze della squadra avversaria hanno fatto vedere il video ad April dove la signora (di cui non ricordo il nome) la stava squalificando. Mi sono seccata perché non è stata colpa di April, ma della signora perché poteva stare più attenta a dove metteva i piedi.
Fossi stata in lei, avendo visto che per April, dopo aver detto “mi scusi ma è questione di vita o di morte” avrei compreso che per quella ragazza, la questione era importante. Capisco che le sembrava scorretto il suo comportamento, ma non l’avrebbe dovuta squalificare secondo me.
È stato fantastico anche il “Andremo alle Nazionali!!!” dell’insegnante nel bel mezzo della notte.
Il “Salve giovanotti” dell’amico di April agli anziani è stato simpatico, mi è piaciuto e poi ci sta sempre un amico con un certo umorismo in questi film, mi è piaciuto molto il suo carattere.
È stato simpatico anche quando il padre di April faceva i finti colpi di tosse.
Non mi è piaciuta, invece, la reazione del ragazzo, durante le prove, quando Sara stava provando una mossa con RJ (se non ricordo male) e quando le è caduta una spugnetta che le faceva da spessore il tizio di lato si è messo a prenderla in giro, scusate, ma è stato davvero un deficiente. Io al posto di Sara non sarei scappata, ma me ne sarei fregata oppure avrei reagito.
Comunque… è stato divertente anche, quando durante, l’ultima esibizione e alla fine del film, se non ricordo male, la ragazzina con gli occhiali, si è messa a twerkare, anche perché non me lo aspettavo ahahah.
Detto questo, ripeto che il film, con anche la storia d’amore, mi è piaciuto davvero tantissimo.
Inizierei ad esprimere le mie considerazioni personali nel il citare questa frase pronunciata dalla protagonista al suo caro amico robot durante il film. La storia mette in risalto uno dei fattori più importanti nella vita dell’essere umano e di noi adolescenti: l’amicizia. L’amicizia è un valore molto importante nella mia vita, infatti non riesco ad immaginare quale immenso, piatto deserto possa essere l’esistenza di un ragazzo della mia età senza amici. Molto spesso siamo portati a definire “amici” tutte quelle persone con le quali abbiamo dei rapporti frequenti, con cui scambiamo quattro chiacchiere o usciamo il sabato sera e non ci rendiamo conto che in realtà la maggior parte di costoro sono dei semplici conoscenti, l’amico è ben altro. Un amico è la persona con la quale possiamo sempre e comunque essere noi stessi, senza veli, senza finzioni, che conosce tutti i nostri pregi ma anche i nostri difetti e nonostante ciò non ci chiede di cambiare; una persona alla quale sentiamo di poter confidare i nostri pensieri, i segreti più intimi, senza timore di essere giudicati; è colui al quale possiamo dare tutta la nostra fiducia sicuri che non ci tradirà mai; all’amico puoi chiedere una mano senza che lui pretenda un tornaconto personale; è chi ti resta vicino non per cosa hai, ma per chi sei; che prova gioia a stare con te, anche se non condivide necessariamente tutti i tuoi interessi. Gli amici non sono nostri “cloni”, ma sono un completamento di noi stessi, con i quali si crea una perfetta sintonia per cui anche senza bisogno di grossi discorsi, l’altro sa già cosa vuoi dire e viceversa, anzi l’amico è colui con il quale puoi anche stare in silenzio. La cosa più importante in un rapporto di amicizia, secondo me, è il rispetto unito naturalmente alla sincerità, alla comprensione ed alla reciproca complicità. L’amicizia è un legame profondo e confidenziale che unisce due o più persone, infatti questo sentimento ha un pregio fondamentale: si può distribuire tra molti individui, con varie sfumature, senza che nessuno di essi si senta svalutato. Il “gruppo” vive importanti e decisive esperienze che restano indimenticabili nella vita di ogni ragazzo, ma è fondamentale che all’interno dello stesso ognuno trovi lo spazio necessario per esprimersi, confrontarsi, condividere, mantenendo una certa propria libertà di scelta. Per mia fortuna e grazie al mio carattere aperto ed estroverso riesco ad avere dei buoni rapporti di conoscenza con tutti e di vera amicizia con alcuni, non molti. Per la maggior parte si tratta di ragazzi che frequento sin dall’infanzia con cui ho condiviso esperienze belle e brutte, di risate e di lacrime; noi siamo molto uniti, scherziamo spesso e ci divertiamo molto, questi amici mi aiutano a crescere e crescono con me e credo di essere sempre in perfetta sintonia con loro. Oggi, purtroppo, questo grande valore viene a mancare a causa della nostra forte superficialità nei confronti delle cose che abbiamo. La giovane protagonista, rimasta orfana del padre, prova a colmare il suo immenso vuoto cercando di dare e ricevere amore, riuscendo a trovare felicità in un robot che le donava sorrisi e le sollecitava, nel profondo del cuore, un grande senso di protezione. Avere qualcuno al tuo fianco può spingerti a non mollare mai, a lottare per ciò che ami fare, così come ha fatto Charlie, è riuscita a rispolverare la sua grande passione verso il nuoto, grazie al suo nuovo amico, elemento secondo il quale vale la pena lottare sempre.
Voglio concludere con una poesia di Gibran Kahlil Gibran
“Amico mio, tu e io rimarremo estranei alla vita, e l’uno all’altro, e ognuno a sé stesso, fino al giorno in cui tu parlerai ed io ti ascolterò, ritenendo che la tua voce sia la mia voce: e quando starò ritto dinanzi a te pensando di star ritto dinanzi ad uno specchio”.
Recensione del film : “In due per la vittoria”
La protagonista del film è Jackie Dorsey, figlia di Kate Moseley e Doug Dorsey, vincitori della medaglia d’oro per pattinaggio sul ghiaccio alle Olimpiadi Invernali del 1992. Cresciuta con l’ambizione di vincere la medaglia d’oro, Jackie vede i suoi sogni sfumare in seguito ad un incidente. Dopo quattro mesi di convalescenza torna a pattinare grazie alla sua testardaggine e determinazione, però non essendo ancora in forma, il padre decide di farla andare in vacanza per recuperare le forze. Qui conosce Alex, un ragazzo istintivo, surfista amante delle onde. Alex pattinava anche per strada in maniera spericolata e lo faceva divertendosi. Jackie non dice ad Alex chi era e quando Alex lo scopre tra i due si crea un malinteso e la ragazza riparte per andare a riprendere gli allenamenti. La pattinatrice decide di partecipare alle olimpiadi successive in duetto e non più da solista e lancia un appello in TV per trovare un pattinatore-partner. Alex, avendo seguito l’intervista, decide di allenarsi e di presentarsi alla ragazza. Jackie dapprima rifiuta, ma viene convinta dalla madre ad accettare. I due cominciano ad allenarsi ed a partecipare a delle gare ed in una di queste perdono perché Alex cade. Jackie lo accusa di averle fatto perdere la partita poiché non sapeva fare il salto triplo. Alla gara successiva Alex sorprende tutti con il salto triplo e invece Jackie non riesce a farlo e cade. Il ragazzo fa capire a Jackie che non è colpa sua se lei non è riuscita a saltare. I due pattinatori avevano caratteri diversi: Jackie aveva sempre anteposto le olimpiadi e la vittoria ai sentimenti, era quasi ossessionata dalla vittoria e Alex invece era più passionale ed istintivo e cercava di trovare piacere in tutto quello che faceva.
Alex si rivede con la sua ex fidanzata e Jackie comincia ad essere gelosa ma non manifesta mai i suoi sentimenti. La sera prima della gare finale delle olimpiadi l’ex fidanzata di Alex le comunica che da lì a breve si sarebbero sposati e che dopo le olimpiadi Alex non avrebbe più gareggiato. La ragazza si sente ferita e soprattutto amareggiata perché capisce di essere innamorata di Alex e non vuole perderlo. Dopo una notte insonne decide di parlare con Alex e recandosi dietro la porta della sua stanza d’albergo gli confessa i suoi sentimenti ma la porta non si spalanca anzi viene serrata dalla fidanzata di Alex che ha appreso del suo amore per il fidanzato. Alex capisce tutto e la stessa fidanzata decide di andarsene perché si accorge che il suo futuro sposo è innamorato della pattinatrice. Alex cerca Jackie ma non la trova e un minuto prima di entrare in pista per la gara finale la vede apparire accompagnata dalla madre. La ragazza gli dice che avrebbero gareggiato per l’ultima volta e poi non l’avrebbe più rivisto, nel frattempo vengono chiamati in pista ma prima di iniziare la gara Alex le dice che è innamorato di lei e vuole passare con lei il resto della sua vita. Gareggiano in maniera esemplare, fanno anche il triplo salto e vincono le olimpiadi. Era la prima volta che Jackie pattinava in maniera istintiva e con un sentimento d’amore in primo piano rispetto alle olimpiadi. Questa storia ci insegna che la vittoria nello sport non deve diventare un’ossessione ma bisogna anche divertirsi ed innamorarsi di ciò che si fa e se oltre l’impegno si mette amore e passione prima o poi i risultati arrivano, inoltre bisogna accettare le sconfitte come un ciclo naturale di eventi.
Federico Fisicaro 1 G
RECENSIONE DEL FILM: “ZONA D’OMBRA”
“Zona d’ombra” è un film americano tratto da una vicenda realmente accaduta circa una scoperta medica avvenuta sugli effetti collaterali del football professionistico. Il film è diretto da Peter Landesman e interpretato da Will Smith nei panni del patologo forense Bennet Omalu. Omalu è un giovane anatomopatologo di origine nigeriane, onesto e scrupoloso. Lavora sodo, ha una forte fede e una vigorosa morale: infatti pensa di mostrare rispetto ai cadaveri sul suo tavolo di lavoro, parlandogli con dolcezza. Un giorno, è responsabile dell’autopsia di Mike “ Iron “ Webster, anni addietro campione del football, morto suicida dopo aver abbandonato la sua famiglia e dato segni di squilibrio mentale; la condizione pietosa in cui cade Webster, stella del football ormai tramontata, lasciato a se stesso e alla sua malattia, è una denuncia sociale per quei poveri che vivono ai margini della società e di cui lo Stato non si prende cura, ma quasi ignora.
Grazie alla sua genialità, e pagando di tasca propria esami molto sofisticati, Omalu si rende conto che Webster, così come altri giocatori di football, hanno manifestato medesimi sintomi non a causa di una semplice demenza precoce, ma per la CTE (encefalopatia cronica traumatica), causata, nonostante l’uso del casco, dagli innumerevoli urti dati e ricevuti alla testa durante le partite di football giocate negli anni. Dunque Omalu inizia una battaglia non solo personale, pubblicando la sua scoperta su una nota rivista scientifica, ma anche giuridica, contro la NFL (National Football League), per fare venire alla luce la verità circa i rischi legati al football.
Omalu è un eroe solitario, che grazie alla propria tenacia ricerca la verità e per svelarla pubblicamente contrasta i “poteri forti”, ovvero la NFL che per motivi economici vorrebbe insabbiare i rischi legati al football. Il protagonista è sicuramente un esempio di coraggio e integrità. Il suo è un eroismo di grande impatto, che mi ricorda l’importanza di non agire mai da codardi quando conosciamo la verità di un evento. Inoltre la sua bravura dimostra come chiunque, a prescindere dalle proprie origini, possa contribuire positivamente alla società con il proprio lavoro, a riprova instancabile del fatto che tutte le culture e le nazionalità siano pari. Bennet Omalu è di origini nigeriane ma si è integrato benissimo negli Stati Uniti e con il suo lavoro ha dato un grande contributo alla ricerca scientifica.
Infine, la scoperta della CTE mi ha fatto pensare che in qualsiasi sport la vita degli atleti non dovrebbe mai essere messa a rischio con un affaticamento eccessivo del proprio fisico che possa portare a disturbi muscolari e simili, o addirittura mentali! Lo sport fa bene al corpo e alla mente quando è compiuto in sicurezza e non è eccessivo.
Per concludere, ho seguito il film con interesse grazie alla capacità interpretativa di Will Smith e allo svelarsi a piccoli passi della verità circa la CTE.
Coach Carter- Inizierei col dire che il film in questione, rappresenta una storia educativa, che riesce a comunicare con semplicità, fa partecipe lo spettatore delle decisioni del coach e mostra in modo evidente che il duro sforzo dato dai pesanti allenamenti giornalieri, fa capire ai suoi ragazzi l’importanza del metodo e del rispetto, che lui dà ed esige. Chi cerca parole di speranza, trova in questo film la carica giusta per dare una svolta, o per ricominciare a lottare. Il coach chiede diverse volte al ragazzo più “particolare” del gruppo, qual è la tua più grande paura? Ed ecco che qui sento di fondare le mie riflessioni personali. Di paure ne esistono molte: la paura di volare e quella di parlare in pubblico, di essere da soli o di essere giudicati, la paura di essere abbandonati e quella di non piacere… insomma dalla paura di non essere abbastanza a quella di guidare da soli, viviamo in un mondo preda al panico! Ma sicuramente tra le più grandi paure c’è quella di perdere qualcosa: beni materiali, persone care e quasi sempre la propria vita. Infatti ancora oggi la nostra più grande paura è quella della morte, ma quando diventeremo consapevoli della nostra vera essenza, anche lasciare il corpo assumerà solo un ruolo di passaggio (come la nascita) e non più perdita e dolore per qualcosa che finisce. Riusciremo a vedere che tutto segue leggi precise (come quella del karma o della risonanza) e a sviluppare, di conseguenza, un atteggiamento più responsabile poiché ora comprendiamo che è la coscienza che si manifesta attraverso di noi, che siamo gli artefici della nostra vita. La buona notizia è che la paura è un’emozione, e come tale possiamo gestirla, ma per fare questo dobbiamo imparare a non essere più schiavi della nostra mente, o semplicemente dobbiamo scoprire chi siamo veramente. La mente, più precisamente il cervello di lucertola, ha lo scopo di metterci in guardia di fronte al pericolo per trovare immediatamente la via di fuga. Quindi la paura è un istinto fondamentale e in un contesto di sopravvivenza può salvarci la vita. Il problema nasce quando la paura domina la nostra vita e non riguarda più l’ambito di sopravvivenza del corpo. Per affrontare le nostre paure, il lavoro da fare è più interiore, di centratura e riconnessione con la nostra vera essenza. Quando diveniamo consapevoli che siamo anima e non la mente, cambiamo prospettiva e vediamo le situazioni, che prima ci facevano paura, come sfide da affrontare o blocchi da sciogliere, insomma un messaggio per la nostra evoluzione. Così, quando arriva la scossa del terremoto, arriva anche l’emozione della paura che ci assale. Riuscire ad essere presenti e non cadere nel panico, lì per lì potrebbe non essere facile, è qualcosa che non possiamo fare in quel momento di blocco totale, per cui iniziamo a prepararci per tempo con il giusto lavoro interiore. Non sprecare il tuo tempo a combattere la paura, anzi, osservala e ringraziala perché ti sta facendo vedere i tuoi limiti. Tu, impegnati a sopraffarli.
Recensione film Go-Kart
All’inizio il film mi sembrava un normale film comico poco riflessivo. Invece poi guardandolo mi sono resa conto che ci sono degli elementi e dei valori importanti, come l’umiltà e l’emotività; infatti il protagonista mostra in una scena la proprio tristezza e sofferenza per la morte del padre, che nonostante gli anni passati, non aveva ancora superato. Attraverso le gare rivive dei momenti della sua infanzia passati con il padre, che invece di motivarlo, lo portano a perdere il controllo del veicolo.
Questo film parte con una trama semplice che si sviluppa attimo dopo attimo.
Il protagonista si trasferisce e va ad una festa di paese, qui incontra una ragazza appassionata di motori e partecipa alla sua prima gara di go-kart in cui incontra quello che sarà il suo migliore amico e un rivale che gli darà del filo da torcere. Successivamente lavora per un ex pilota che poi diventerà il suo coach. Partecipa con un go-kart costruito dalla ragazza della festa alle regionali e poi alle provinciali in cui sfortunatamente perde il controllo e si qualifica al quarto posto, li litiga anche con tutto il suo team, che considera suoi amici.
Il ragazzo però è una persona di buon cuore, aiuta il poliziotto del paese a conquistare la madre perché vuole la sua felicità, ma non mostra mai i suoi sentimenti e il dolore che prova.
Alla fine a causa di una squalifica di un altro concorrente si candida terzo, si scusa con tutti e partecipa alle nazionali; attraverso i consigli del coach vince. Mi è piaciuto molto anche il comportamento dell’avversario che ha accettato la sconfitta dimostrando maturità invece di vendicarsi, e il modo di fare della ragazza, che nonostante le difficoltà non smette di credere in se stessa e di utilizzare la sua bravura per aiutare un amico. Durante il film in maniera del tutto naturale ed empatica ho preso a cuore soprattutto la storia del ragazzo, e mi è dispiaciuto che lui non si aprisse con la madre per condividere quello che stava provando. Sicuramente non potrò capire cosa vuol dire perdere un padre, ma certe emozioni non si devono nascondere.
Recensione film Go Kart:
Il film Go Kart racconta la storia di un ragazzo di nome Jack che con la madre si trasferisce in una città un po’ più piccola rispetto a dove viveva prima.
Jack ha perso il padre a causa di una malattia e la madre ha paura che possa aver lasciato un segno più del dovuto,nonostante ciò i due si trasferiscono in una casa rovinata e piccola e la madre per vivere apre un negozio di alimentari.
La madre successivamente invita il ragazzo ad andare ad una festa organizzata da una ragazza,Mandy,a tema go-kart.
Jack si innamora della ragazza e ne scopre una passione dopo aver iniziato ad utilizzarli allenato dal proprietario della pista per cui lavorava.
Solo dopo scopre che la ragazza è la sorella di un ragazzo non particolarmente simpatico a Jack,Dean.
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Questo film viene classificato nella categoria adolescenti,nonostante ciò
credo che ognuno di noi in questa età così “delicata” abbia bisogno di nuovi insegnamenti.
Un esempio anche banale di un insegnamento che mi ha lasciato è il non arrendersi mai e continuare sempre a lottare per qualcosa che noi sappiamo ne valga la pena continuare con costanza.
Non bisogna mai darsi per vinti che prima o poi la vittoria arriverà anche per noi.
Dobbiamo sempre seguire i nostri sogni oltre le parole ed i commenti delle persone.
Perché sono del parere che spesso ci si faccia condizionare da un parere negativo ricevuto da parte di una persona per noi importante e che quindi si smetta di inseguirli.
Ma oltre lottare per i nostri sogni o obiettivi che siano,ho notato che,in questo caso,il protagonista del film non si è arreso neanche davanti ad un amore condizionato dalla rivalità con il fratello.
Infatti spesso l’adolescente in sé davanti ad un rifiuto da parte della persona a cui è interessato può buttarlo giù sia psicologicamente che fisicamente portandolo,spesso,ad una resa;rassegnandosi e quindi a pensare che non ci sarà mai niente di concreto con la persona amata.
Quindi dopo tutto ciò credo che la qualsiasi persona al mondo che sia adolescente,bambino,adulto o anziano non debba mai arrendersi davanti a niente:che insegua costantemente i propri obiettivi e che non lasci scappare via gli amori non corrisposti,che con il tempo l’amore diventerà ricambiato ed i sogni realizzati,basti avere un po’ di pazienza senza arrendersi.