Il saluto dell’IS Vittorini-Gorgia al Prof. Alfredo Floridia e la lettera del dirigente scolastico: «Continua a pedalare nei tuoi Campi Elisi, caro Amico»
Il 26 ottobre 2022, la comunità scolastica dell’Istituto Vittorini-Gorgia si è radunata sullo spiazzale del Polivalente, per porgere l’ultimo saluto al Prof. e Ing. Alfredo Floridia. Un anello umano di studenti, studentesse e personale scolastico, ha fatto da corona ai familiari che hanno accompagnato il feretro per il suo ultimo passaggio nella sede dell’istituto. Un addio commosso e composto, pieno di gratitudine per quanto ha lasciato di sé alla scuola.
Il Dirigente Scolastico Prof. Vincenzo Pappalardo, ha dato il suo saluto con queste parole: «È una cosa ben triste accoglierti ancora a scuola, Alfredo, sapendo che sarà la tua ultima visita in questa che è stata, negli ultimi anni, la casa di un lavoro, per te non principale, non necessario, ma che hai voluto svolgere col rigore di una coscienza d’altri tempi, che sentiva la responsabilità civile e umana che dobbiamo alle nuove generazioni e al territorio. La comunità del Vittorini-Gorgia, del plesso Gaudioso di Francofonte che mi hai aiutato a gestire con piglio e straordinario equilibrio, è voluta scendere tutta a ricevere la tua visita, ad abbracciarti con affetto, a ringraziarti con il cuore commosso e sincero. Studenti, personale, colleghi professori sono qui perché non vi è chi non abbia conosciuto il tuo sorriso affabile camminando per i corridoi, il tono garbato di ogni discussione, l’equilibrio saggio e rassicurante, la determinazione inflessibile dei doveri e dei principi. I Licei Vittorini e Gorgia, di Lentini e Francofonte, sono qui, sgomenti e turbati, perché sanno essere venuto meno un pilastro vero della loro struttura, non sostituibile, e sentono traballare il terreno su cui si muovono. Io sono qui perché non c’è più il consigliere di pacato buonsenso, il collaboratore di disponibilità illimitata, l’amico gentile col quale si era presto oltrepassata la barriera del ruolo professionale, entrando nella sfera della stima e dell’affetto reciproco. La tua scomparsa improvvisa, un paio d’ore dopo l’ultima discussione e l’ultimo saluto in presidenza, ha fatto in tutti noi riemergere l’angosciosa coscienza della labilità della nostra esistenza. Un’angoscia che teniamo repressa, perché con essa cosciente non potremmo sopravvivere; eppure la morte è anche la consapevolezza tragica che tra le infinite possibilità che si aprono alla nostra vita, solo la possibilità della fine si realizzerà con certezza, diventerà di sicuro effettiva. Perciò, a ben pensarci, è anche il senso profondo della nostra esistenza – l’essere per la morte, per dirla coi filosofi tedeschi: lo sfondo di limitatezza che sì, rende sempre incompiute le nostre azioni, ma riempie anche di significato la fatica delle nostre giornate, attribuisce urgenza e l’abnegazione che danno serietà al nostro sforzarci di vivere con dignità l’opportunità che ci è data su questa terra. Anche quando, com’è successo a te, erano tante ancora le cose che aspettavano la tua dedizione e la tua intelligenza per compiersi. Ci sono delle parole che esprimono, con la forza dell’arte che io non ho, il senso della vita e della morte che ci accompagna. Le ha scritte José Saràmago ne Le intermittenze della morte, una straordinaria riflessione laica sul senso di incompiutezza dell’esistenza. Le leggo: “quello che impressionava la morte era il fatto che le era parso di sentire, in quei cinquantotto secondi di musica, una trasposizione ritmica e melodica di ogni e qualsivoglia vita umana, normale o straordinaria, per la sua tragica brevità, per la sua intensità disperata, ed anche per via di quell’accordo finale che era come un punto di sospensione lasciato nell’aria, nel vago, da qualche parte, come se, irrimediabilmente, fosse rimasto ancora qualcosa da dire…”. Continua a pedalare nei tuoi Campi Elisi, caro Amico».