INTELLIGENZA PARLANTE
La dimensione etica del linguaggio
Già nella cultura greca e biblica il logos viene celebrato come dynastes megas (gran dominatore),
forza creatrice (Dio disse…) e soprattutto elemento costitutivo dell’essere umano (“in qualunque
modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome”. Gn
2,19): l’uomo è tale perché “parla”.
La capacità etica dell’uomo è data proprio dalla sua capacità di parlare, di dare nome e quindi
senso, significato al suo “mondo alla mano”. La formula del retore e sofista Gorgia, Megas dynastes
o logos, così come il messaggio biblico, evidenziano già il pre-dominio del linguaggio sull’essere.
La capacità propria dell’uomo di dare nome alle cose si traduce nella capacità etica di scegliere e
agire: la svolta linguistica ci dice che il linguaggio ci posiziona, ci fa assumere una postura etico-
esistenziale, ci fa-essere, determina il nostro essere-nel-mondo: “l’uomo è ciò che dice” in quanto le
parole ci com-prendono e ci fanno comprendere l’altro, parlando infatti manifesto me stesso e
ascoltando mi com-prendo nell’altro. La parola detta e ascoltata ci compromette con l’alterità.
La crisi che attraversa la contemporaneità non è una crisi di valori ma di linguaggio: parole come
“bene o male”, non hanno e non danno più significato a quel mondo comune che tutti abitiamo e di
cui ne siamo il prodotto, ne siamo condizionati anche se non determinati. La nostra identità infatti è
costruita sull’alterità attraverso il dia-logo con l’altro-da-me.
Parole vuote, prive di capacità di dare significanza e di determinarci in quanto non “ci” com-
prendono più, rendono le relazioni, a qualsiasi livello (affettivo, lavorativo, politico, etico, ecc.),
insignificanti, prive di senso: se la parola detta e ascoltata non pre-domina più sull’essere, “tutto è
lecito” e l’unica parola che va a riempire quel vuoto di significato è quella della téchne capitalista.
L’uomo non è più tale perché “parla” d’amore di morte e di altre sciocchezze, ma perché
“consuma” affetti, relazioni ed esperienze prive ormai di significato e di senso per la nostra vita.
In una società priva di linguaggio etico, a cui rimane soltanto un moralismo sterile, retorico o
peggio ancora consumistico dove prevale la logica capitalistica dell’individualismo, del più forte,
della competizione e della prestazione continua, occorre “riadagiare l’essere sul fondamento del
linguaggio”: le parole dette, scritte, pensate o anche taciute da parte di qualsiasi uomo in qualsiasi
situazione esistenziale si trovi, soltanto se “com-prese” e “com-promettenti” rendono veramente
liberi perché aldilà del bene e del male c’è sempre il bene nel male posto in essere dal predominio
del linguaggio.
Prof. Nuccio Randone