La banalità del male Oltre il silenzio

27 Gennaio 2025 0 Di Redazione
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La Zona d’Interesse: Una riflessione sulla Shoah e sullo sterminio tra omertà e indifferenza
“La zona d’interesse”, il film di Jonathan Glazer, ci trascina nel cuore oscuro della Shoah,
esplorando non solo la brutalità del genocidio, ma anche la più inquietante delle domande:
come è stato possibile che un’intera nazione abbia potuto partecipare, o quantomeno
tollerare, una simile atrocità? La pellicola si muove intorno al concetto di “zona d’interesse”,
un’area in cui la tragedia si svolge al di fuori del campo visivo diretto, mentre la vita
quotidiana di chi non è direttamente coinvolto prosegue indisturbata.

In un’epoca in cui il male sembrava tangibile e onnipresente, la Germania nazista creò una
barriera invisibile, una zona di comfort da cui l’indifferenza e la negazione del dolore altrui
potevano prosperare. Non era solo un’area geografica, ma una vera e propria divisione
psicologica che separava il “popolo scelto” dall’umanità sofferente e straziata nelle fosse
comuni, nei campi di concentramento, nei forni crematori. Il film, pur senza fare mai
riferimento esplicito alla Shoah in ogni suo dettaglio, mostra la banalità del male, come lo
descriveva Hannah Arendt. La storia, focalizzandosi sulla vita familiare di un ufficiale
nazista e sulla sua quotidianità, mette in luce la dissonanza cognitiva di chi viveva in quella
“zona” protetta. L’inferno era a pochi chilometri di distanza, ma la percezione della realtà
era distorta da un sistema che rendeva la violenza invisibile per chi non voleva vederla. La
casa, l’amore, i legami familiari, eppure, tutto ciò coesisteva con il mostruoso regime di
sterminio.
In questo senso, “La zona d’interesse” ci sfida a riflettere su quanto sia facile “normalizzare”
l’inaccettabile, quando la paura, l’indifferenza e l’autosufficienza emotiva diventano scudi
contro la sofferenza altrui. I tedeschi, come le vittime stesse, si trovano prigionieri della
propria visione del mondo, incapaci di superare la distorsione morale che li rendeva
partecipi, volontari o passivi che fossero, dell’immenso dolore inflitto. D’altra parte, la
prospettiva degli ebrei, che a quel tempo vivevano sotto l’ombra della morte, è quella di chi
non ha scelta, di chi deve affrontare ogni giorno una violenza che sfida la logica. Ma c’è
anche un altro aspetto che il film ci invita a contemplare: il “prima” e il “dopo”. La guerra
non ha portato solo la morte, ma anche il trauma psicologico di chi ha visto, e non ha visto,
il male. In qualche modo, la memoria storica è diventata un fardello difficile da sopportare.
Come si fa a vivere con ciò che è successo, se tutto intorno a te continua a voler
dimenticare?
“La zona d’interesse” ci impone una domanda scomoda e fondamentale: quale ruolo ha
ciascuno di noi nell’indifferenza collettiva? Perché, come ci insegna la storia, il male non
nasce dal nulla. È alimentato dal silenzio, dall’accettazione e, in molti casi, dalla
rassegnazione. Forse, più che mai oggi, è necessario ricordare che ogni azione, ogni scelta,
ogni silenzio è parte di quella “zona”, che può essere tanto vicina quanto lontana, ma che in
ogni caso è nostra responsabilità abitare consapevolmente.

In effetti, una delle sfide più inquietanti che “La zona d’interesse” ci pone riguarda proprio
la questione della complicità e del silenzio: come ci si può sentire di fronte alla tragedia di
milioni di esseri umani che stanno morendo, mentre la propria vita continua come se nulla
stesse accadendo? Il film non dà risposte facili, anzi, le solleva con una intensità che si fa
insostenibile. Ci obbliga a guardarci dentro e a chiederci: in che modo siamo noi, oggi,
anche inconsapevolmente, complici di un mondo che continua a chiudere gli occhi di fronte
all’ingiustizia, alla sofferenza e all’oppressione?
Lo sterminio degli ebrei, e di tutti coloro che vennero considerati “inferiori” dal regime
nazista, è stato possibile solo perché ha avuto la complicità, o l’indifferenza, di milioni di
persone. In questo senso, il film ci porta a riflettere su come la disumanizzazione, un
processo lungo e graduale, non si limiti al passato, ma continui a insinuarsi anche nelle
realtà più “avanzate”, “civili”. La banalizzazione del male non è un fenomeno riservato ai
totalitarismi storici. Si manifesta oggi, nei conflitti dimenticati, nelle guerre silenziose,
nell’emarginazione dei più vulnerabili. La storia della Shoah non è solo una lezione del
passato, ma un monito che rimanda al presente, e probabilmente al futuro.
Il punto di vista dei tedeschi, e più specificamente dei nazisti, nel film non è mai giustificato
né edulcorato. Anzi, la scelta di Glazer di concentrarsi sulle dinamiche quotidiane, sugli
atteggiamenti quasi banali di chi “non vedeva” o “non voleva vedere”, diventa ancora più
inquietante. Non c’è un grande male spettacolare; piuttosto, il male è invisibile, si nasconde
dietro il normalissimo scorrere della vita di una famiglia, dietro l’immagine di un uomo che, pur essendo parte di un sistema genocida, continua ad amarsi, a sorridere, a coltivare le
proprie passioni. La “zona d’interesse” è questa: è il punto in cui tutto appare normale,
mentre intorno c’è la distruzione.
C’è una tensione tra la vita che continua e la morte che irrompe, tra la serenità di chi si
siede a tavola e la furia omicida che devasta la dignità umana. La tragedia della Shoah non
è solo un evento storico, è una ferita che rientra nel nostro stesso modo di concepire il
mondo. Come possiamo ignorare, ancora oggi, i segni di disumanità che permangono?
Come possiamo vivere in un’epoca che, pur avendo conosciuto l’orrore, è capace di
ripetere gli stessi errori, forse in forma meno eclatante, ma non meno devastante?

Infine, il film ci porta a riflettere sulla memoria, sull’importanza di non lasciare che il
passato si dissolva nell’oblio. Ogni volta che scegliamo di non affrontare la verità, ogni volta
che omettiamo o riduciamo l’importanza di un episodio come quello della Shoah, rischiamo
di ripetere gli stessi meccanismi che permisero il genocidio. La memoria è un atto di
responsabilità collettiva, un monito che deve restare vivo e vibrante. Non è solo un atto di
chi ha vissuto direttamente la tragedia, ma di chiunque abbia a cuore la dignità umana e il
rispetto per la vita.
“La zona d’interesse”, con il suo sguardo disturbante e, allo stesso tempo, incredibilmente
realistico, ci costringe a confrontarci con la possibilità che il male più grande non sia mai
così lontano come vorremmo credere, ma che spesso sia racchiuso nelle piccole,
impercettibili zone di omertà che ci circondano, anche oggi.

DICIAMO “NO” ALL’INDIFFERENZA

Nella giornata del 27 Gennaio 2025, gli studenti del Liceo “Gorgia-Vittorini” di Lentini, hanno partecipato
durante l’Assemblea d’Istituto, presso il Cinema Odeon, alla visione del film “La Zona di Interesse”.
La pellicola cinematografica racconta la vita della famiglia del comandante tedesco Rudolf Hoss, che
si svolge interamente all’interno dell’abitazione familiare, nei pressi del campo di concentramento di
Auschwitz, nell’area denominata dai nazisti “zona di interesse”, da cui prende il titolo l’intera opera.
Il regista Glazer mette in scena la crudeltà e l’indifferenza della famiglia tedesca, per cui le atrocità che si
trovano dietro la porta rappresentano la normalità.
Il premio Oscar offre profondi spunti di riflessione e invita a non dimenticare e a non ripetere gli errori del
passato.
Per noi studenti, questa esperienza non è stata solo un momento di intrattenimento, ma un’occasione per
entrare in contatto con la memoria storica in modo profondo e significativo. La visione del film ha suscitato
interrogativi e riflessioni sulle dinamiche del male, sulla complicità delle persone che non si schierano
contro l’ingiustizia e sull’importanza di tenere vivo un ricordo. La visione del film è stata, in questo senso,
un’esperienza utile per sensibilizzare e far riflettere la nostra generazione sulla necessità di vigilare sempre
contro l’odio, la violenza e la discriminazione, affinché la tragica storia non si ripeta.

Eva Lopresti e Fatima Tomasello 5F