“In memoria del Professore Vito Galìa”

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Nel tristissimo momento di dolore che la scomparsa prematura del professore Vito Galìa ha suscitato in tutti coloro che hanno avuto il privilegio di conoscerlo, giungono come conforto le parole con cui il Preside, Prof. Vincenzo Pappalardo, nella sua lettera commemorativa, esprime e condivide alcuni ricordi di Vito:

“Ricordo l’eleganza sobria e sempre attenta, la pochette che usciva dal taschino, la pettinatura sempre perfetta, col vezzo di un ricciolo che scappava; lo sguardo gentile quando ogni giorno si affacciava con prudenza alla porta della presidenza, il saluto sorridente, il sedersi davanti alla scrivania anche quando non c’era nulla da dire, per il solo piacere di testimoniare un attaccamento innanzitutto umano alle relazioni di lavoro.

Ricordo la responsabilità maniacale che metteva nei suoi impegni, gli appuntamenti anche ferragostani per portare a compimento una gara, quando si avvicinava l’incubo del primo degli interventi che hanno martirizzato l’ultimo scorcio della sua vita ma bisognava portare a termine il lavoro,  perché l’avvio delle lezioni si approssimava e bisognava assicurare una mensa ai ragazzi: chi altri, mi chiedevo allora, l’avrebbe fatto? Ricordo la lealtà d’altri tempi, color seppia, la vicinanza negli ultimi anni quando, dovendo gestire uno dei progetti più delicati della vita di una scuola, che nel frattempo era finito sotto tiro di qualche componente –  miserie vili degli ambienti di lavoro – ha messo partecipazione e fatica quotidiana, cercando di cucire soluzioni che salvaguardassero il beneficio degli alunni e mettessero il Preside nelle migliori condizioni per trattare.

Ricordo l’amarezza di quelle volte che, negli ultimi anni, quando la salute era diventata più fragile e avevo pensato mio dovere sottrarlo ad incarichi più pesanti, era venuto in presidenza a chiedermi perché io no? E io, con più amarezza di lui, ero stato costretto a chiedergli scusa e a promettergli attenzione per le volte successive. Anche quando c’era da accompagnare dei ragazzi in viaggio: l’ultima volta era venuto a chiedermi perché non l’avessi scelto per un viaggio all’estero e avevo colto come un piacere deluso il non essere presente in una circostanza in cui pensavo di essere pure io. Per questo, quest’anno, avevo pensato di andare in qualche viaggio dove lui avrebbe accompagnato studenti. Non abbiamo avuto il tempo.

Lo conobbi la prima volta appena arrivato a Lentini, quando la sua preside, mia vecchia amica, me lo presentò come una persona seria e professionale. Erano i primi giorni in una scuola nuova e la mia mente era affollata da troppe facce sconosciute; ma il suo viso e il suo nome rimasero nella mia testa e le volte che ci incrociavamo, in cortile o nella mensa, ci salutavamo sempre cordialmente. Poi pensò di trasferirsi nella nostra scuola e qui la quotidianità era piano piano scivolata in una stima rispettosa, che si percepiva lui viveva con un’attenzione rigorosa ai ruoli, e forse pure in una discreta amicizia.

L’ultima volta l’ho visto lunedì scorso; doveva essere già in malattia, in pre-ricovero per l’intervento programmato ma, poiché non era stato convocato, era venuto a lavoro. Nel weekend gli avevo spedito la circolare ministeriale con le istruzioni per i pensionandi che volessero rimanere in servizio: venne in presidenza a dirmi che ci aveva pensato e aveva deciso di voler restare qualche altro anno; ci sorridemmo compiaciuti e ci salutammo, dandoci appuntamento a dopo l’intervento per definire la pratica.

Non capisci mai quand’è il momento che vedi per l’ultima volta una persona cara. Dopo, pensi sempre di essere stato troppo banale e sbrigativo; e pensi a quante altre cose avresti potuto dirgli, quanto importante era per te quella presenza discreta, quanto ti sarebbero mancati quei brevi saluti e quelle rapide conversazioni.

Non avevamo  capito bene. Dopo l’intervento di settembre, questa ci era parsa un’operazione banale, di routine. Sapevamo di un intervento programmato per venerdì e aspettavamo fiduciosi l’esito.

La notizia dell’aggravamento imprevisto, dell’intervento di urgenza, delle complicazioni e della rianimazione è arrivata martedì: un vento di bufera improvviso che spalanca di botto la finestra e ti dà una staffilata in faccia. Abbiamo seguito con ansia e discrezione le notizie che ci arrivavano da Angelo, una situazione critica a cui non riuscivamo a credere; fino a venerdì, quando la situazione pareva essersi stabilizzata e i chirurghi erano di nuovo intervenuti. Ci era rinata la speranza.

Poi, alle due di uno di quei grigi pomeriggi invernali di montagna, quando la pioggia scende monotona e intorpidisce le ossa e il sentire, il vento è diventato tempesta e ha rotto i vetri: ti arriva la notizia a cui non avresti mai pensato e alla quale non puoi credere. Un uomo buono e mite non c’è più.

E tutti restiamo a piedi scalzi, a camminare sui cocci di vetro della vita.”