Bambini: persone non macchine

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(Articolo di Matteo Romano, II A)

Ogni anno un numero elevatissimo di bambini in tenera età diviene vittima dello sfruttamento minorile, una piaga che affligge non solo i Paesi in via di sviluppo quali gli Stati africani o l’America Latina ma anche l’Europa e gli Stati Uniti.

Ma cos’è esattamente lo sfruttamento minorile?

Con questa espressione si intende l’impiego di minorenni, talvolta anche molto piccoli, in ambiti lavorativi, specialmente in quei settori in cui l’attività manuale ricopre un ruolo molto importante.

Nel migliore dei casi i piccoli lavoratori vengono retribuiti con salari miseri, nel peggiore possono subire violenze sia di tipo psicologico che fisico. I bambini sono ridotti a mere macchine il cui unico scopo è produrre ed essere efficienti. Uno degli aspetti più drammatici di questo fenomeno sociale è proprio l’annichilimento dei diritti umani.

Le origini di questa piaga sono molto antiche; esse risalgono addirittura ai primordi delle prime grandi civiltà, ma solo con l’avvento della rivoluzione industriale ha iniziato a diffondersi su larga scala. I bambini venivano impiegati nelle industrie tessili; la loro giornata lavorativa raggiungeva le sedici ore e le paghe non permettevano loro nemmeno di acquistare beni di prima necessità. Inoltre, le condizioni di lavoro erano talmente disagiate da provocare l’insorgenza di gravi malattie o, addirittura, la morte.

Oggi il numero di lavoratori minori si stima essere intorno ai 250 milioni in tutto il mondo. I settori in cui essi vengono adoperati sono: l’agricoltura, l’industria e la pesca. La cause sono da ricercare innanzitutto nella povertà: sono molte le famiglie economicamente disagiate, che pur di sopravvivere sono disposte a cedere i propri figli ai padroni delle grandi industrie o degli immensi campi agricoli.

Una delle conseguenze più gravi dello sfruttamento minorile è l’aumento esponenziale dell’analfabetismo. I bambini, poiché costretti a lavorare, non possono frequentare la scuola privandosi della possibilità di istruirsi, di conseguenza una volta divenuti adulti, non avranno le capacità di difendere i propri diritti.  Ovviamente, anche in Italia si presenta questo problema; nonostante le leggi disposte dallo Stato, il numero di bambini lavoratori, compresi fra i sette e i quattordici anni, si aggira sui 140 mila.

Le attività promosse per fermare il lavoro minorile sono molte e comprendono manifestazioni, campagne propagandistiche contro simili atti e la promozione di prodotti realizzati senza l’impiego di manodopera infantile. Anche la scrittrice catanese Lina Maria Ugolini ha deciso di denunciare il lavoro minorile con il proprio libro “Jamil e la Nuvola”. Il romanzo narra le vicende di Jamil, un bambino egiziano costretto a lavorare nei campi di cotone, per permettere ai genitori e alla sorellina di poter sopravvivere. Il protagonista diviene testimone delle ingiustizie che avvengono pressi i campi, raccontando al lettore quanto di più tragico e terribile possa vivere in quelle condizioni un bambino e, molto probabilmente, anche un adulto. Jamil, però, ha dalla propria parte il potere della fantasia, unico mezzo con cui è possibile affrontare anche le situazioni più difficili. La fantasia permette agli uomini e soprattutto ai più piccoli di volare via da questo cinico mondo, fatto di cattiverie e dolore, e raggiungerne uno in cui la felicità e la gioia hanno la meglio sulla triste realtà.

Il libro di Maria Ugolini non cambierà di certo il mondo, non permetterà ad ogni bambino di vivere con la dignità che merita e molto probabilmente anche la stessa scrittrice ne è cosciente; però è giusto parlarne, è giusto che tutti conoscano la verità e facciano il loro meglio, affinché in un futuro non troppo lontano ogni bambino possa vivere una vita serena e felice.

Matteo Romano, II A Liceo Scientifico Lentini

 

 

 

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